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lunedì 15 febbraio 2016

L'onda perfetta - Angela Bertaglia

TRAMA
Lisbona è la sua seconda opportunità. Per troppi anni Emma è rimasta legata al suo passato, è arrivato il momento di ricominciare. Mettere da parte tutti gli anni in cui si è nascosta dal mondo.
Fare surf è l’unica cosa a renderla felice, finché non incontra Leonardo.
Tutto nella vita di Leonardo sembra perfetto. Lui è il capitano della squadra di calcio e diventerà un professionista, quello ricco, popolare e bellissimo. Ma nessuno lo conosce davvero. Si porta addosso i segni di un’infanzia tragica e di un destino programmato fin nei minimi dettagli da altri.
E forse è stato proprio il destino, quello che spaventa entrambi e sembra averli delusi infinite volte, a farli incontrare.
In riva al mare, con le onde che dimostrano loro con quanta forza ci si può schiantare e poi ricominciare, le vite di Emma e Leo prendono una piega inaspettata. Eppure guardare al futuro non è mai stato così difficile.

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venerdì 24 aprile 2015

Pensavo di salvarti #15


Juliet

Sto passeggiando al mare con Ethan e lui mi stringe la mano. Passo le dita fra la sabbia e lui ride prendendo in giro i miei piedi.

- Oh, eddai, Juliet, sono proprio bruttini.

- Non è vero Eth, sono solo incompresi.

- Incomprese sono le persone, non le tue dita dei piedi, tesoro!

Mi stuzzica e io rispondo a tono. Ci divertiamo così noi. Noi, che bella parola, magari ci fosse davvero un noi, ma non c’è. Anche se sarebbe così facile fallo voltare per scherzo e poi zac rubargli un bacio, lui non si tirerebbe indietro e poi faremmo l’amore fra la sabbia ridendo e regalandoci sorrisi.

- Guarda Juliet un gabbiano.

Mi volto di scatto per vederlo e la mia testa sbatte contro il muro.

Muro?

Apro gli occhi piano cercando di mettere a fuoco cosa mi circonda e mi accorgo di essere nella mia stanza, sotto le coperte e ho appena sbattuto la testa proprio contro il muro.

L’ho sognato ancora. Lo sogno tutte le notti.

Mi volto verso l’orologio che segna le cinque e mezza e sospiro. Ancora qualche ora di tortura e poi potrò fingere di non essere sola in una stanza affollata invece che al buio. È più difficile mentire con se stessi al buio.

Guardo la finestra e mi accorgo solo ora che anche ieri sera l’ho dimenticata aperta. Nel mio inconscio penso di farlo apposta. La lascio aperta perché aspetto il ritorno di qualcuno. Aspetto lui, come sempre. Stupida, stupida, stupida, mi ripeto dentro, ma non funziona, ma non basta.

Ora credo di capire come si sentisse Penelope, ad attendere un uomo che non sapeva se sarebbe tornato, come sarebbe tornato, quando sarebbe tornato. Penelope tesseva la sua tela e poi la disfaceva solo per poter guadagnare tempo nell’attesa di suo marito. Forse il so cuore le ripeteva ogni giorno “solo oggi, solo ancora oggi” e poi si sa, non è mai solo oggi.

È domani, e il giorno dopo e il giorno dopo ancora.

Se lo ami, lo aspetti anche tutta la vita che tu lo dimostri o meno. Lo aspetti sposando un altro e facendoci dei figli magari, ma lo aspetti, ma lasci sempre una finestra un po’ aperta sperando che il vento sia clemente e ti porti il suo odore.

Mi giro su un fianco e chiudo gli occhi, pronti alle lacrime.

Questi giorni si sono presi troppe lacrime, non posso piangere anche oggi, non posso.

Audrey ultimamente mi chiama annaffiatoio. Molto ingiusto da parte sua che da quando ha conosciuto Francisco, o come lo chiama lei “il mio Francisco”, non fa altro che sorridere e sospirare descrivendo quanto sia meraviglioso.

Sono felice per lei, è ovvio. È la mia migliore amica ma… ma non riesco a non essere gelosa. Ogni volta che si prendono per mano o lui le apre la porta io sento una fitta di gelosia. Non di lui, non le invidio il ragazzo, le invidio la facilità del suo amore. I gesti spontanei. Gli sguardi persi.  Insomma, loro si sono conosciuti, sono usciti due volte e poi sono diventati inseparabili. E a me? A me perché non è successa una cosa del genere? Perché dovevo innamorarmi di un ragazzo così difficile? Così impossibile?

Scalcio via le coperte e mi alzo sbattendo la mano sull’interruttore per accendere la luce.

Apro l’armadio e inizio a frugare in mezzo ai vestiti, ero sicura di averlo messo qui.

Trovato! Prendo l’i-pod in mano e inizio a districare le cuffiette che come sempre sono intrecciate. Dopo qualche secondo mi infilo le cuffie e scorro la mia playlist.

Bello e impossibile.

Mi rintano sotto le coperte e sento riecheggiare nella mia mente il testo della canzone.

Bello e impossibile.

Sei tu.

Dopo quelle che sembrano ore ma in realtà sono solo pochi minuti con la coda dell’occhio vedo la porta della mia stanza aprirsi piano e mio fratello entrare con un sorriso malinconico sulle labbra.

Indossa la sua divisa stirata e lavata con al petto una medaglia e sono certa che abbia già pronto il cappello da qualche parte.

- Non pensavo di trovarti sveglia…

- Te ne saresti andato anche questa volta senza salutare, vero?

Eric si morde il labbro e sospira.

- Non mi piacciono le lacrime, dovresti saperlo.

Si sposta di qualche passo in avanti e poi sembra ripensarci e ne fa uno indietro. Lo guarda negli occhi e vorrei tanto vederci le lacrime, vorrei tanto che fosse triste quanto me all’idea di abbandonarmi ancora. Sono così egoista.

Alla fine muove la mano facendo un gesto strano e si siede sul mio letto abbracciandomi.

- Mi mancherai tanto, tornado. Davvero tanto. Mi manchi sempre tanto.

- Non andare.

- Devo – si massaggia il mento con la mano e continua – E’ il mio dovere, Juls. Voglio lottare per un mondo migliore.

E per me chi lotta? Chi resta qua accanto a me a lottare? Chi c’è ora?

Scuoto la testa decisa e inizio a piangere.

Eric allunga una mano e passa le dita fra i miei capelli.

- Piangi per me o per lui?

- Per tutto, Eric. Per tutto, ho paura di rimanere sola.

- Sono sempre con te, sorellina. Sempre, te lo giuro. E cercherò di chiamarti ogni volta che posso.

Annuisco e provo a sorridergli ma non credo di fare nulla di meglio di una smorfia.

Mio fratello esce dalla mia stanza e dopo qualche minuto di parole sussurrate che riecheggiano nella mia stanza dal piano di sotto la porta di casa sbatte e il vuoto mi riempie lo stomaco.

Come possa il vuoto riempire non lo capirò mai.

domenica 22 marzo 2015

Pensavo di salvarti #14


Ethan

- C’è qualche problema, Liz?

Mi avvicino piano ai due e il cuore inizia a battermi forte quando vedo quella meravigliosa creatura. Ha il corpo slanciato, magro ma non troppo. I capelli neri che le sfiorano le spalle dolcemente e poi scendono giù fino alla vita. La pelle chiara e morbida, con due occhi azzurri e un nasino piccolo.

- Nessun problema.

- Non parlavo con te. Liz?

Il tipo si mette davanti a lei per impedirmi la visuale e io mi sporgo per guardarla mentre parlo.

- Lui.. se ne stava andando.

Il ragazzo guarda prima me e poi ancora la ragazza, dopo di che se ne va a passo spedito verso l’ala ovest del parco, dove di solito vado a farmi le canne con gli amici.

- Grazie.

- Odio i coglioni che mettono le mani addosso alle ragazze.

Alzo le spalle e fingo indifferenza, senza farle capire quanto mi faccia piacere che mi abbia ringraziato. Di solito quando fai qualcosa per qualcuno questo se ne va senza nemmeno darti il tempo di salutarlo.

- E’ mio cugino comunque, lui non…

- Non mi interessa.

Liz arrossisce e io la trovo ancora più irresistibile. Sembra più bambina con quel rosso che le tinge le guance, più viva e piccola. Quasi bisognasse proteggerla.

- Tu non dovresti essere a scuola? Le mie amiche hanno detto che..

- Hai chiesto alle tue amiche di me?- la interrompo con un sorriso malizioso – ma non dovevamo essere incompatibili io e te?

E quell’io e te mi piace molto più di quanto sia disposto ad ammettere.

Lei abbassa la testa mortificata e io rido piano, sotto i baffi senza farmi notare poi mi avvicino e le prendo una mano. Lei arrossisce ancor di più ma non sposta la mano. Lascia che io tracci dei cerchi sulla sua pelle. Dopo quelle che sembrano ore lascio ricadere la mano.

- Hai bisogno di un passaggio?

- Ehm.. si. Mi faresti un enorme favore.

Tiro fuori le chiavi della macchina e gliele porgo, lei mi guarda sospettosa e io rido apertamente questa volta.

- La mia macchina è quella laggiù grigio metallizzato, c’è solo quella in ogni caso parcheggiata lì. Entra e aspettami lì devo risolvere una questione con quella ragazza.

Le indico Juls che è ancora seduta sulla panchina, immobile ad aspettarmi.

- C’era anche l’altra sera. Siete fidanzati?

- No, siamo solo amici. È praticamente una sorella per me.

Liz annuisce, non troppo convinta e si avvia verso la macchina. Io non resisto e le guardo le gambe mentre cammina.

Dio, è così bella.

 

Juliet

Il cellulare vibra e lo tiro fuori dalla tasca.

 

Febbre ): Niente scuola.
Dove 6??

Aud

 

Al parco.
Passo da te.

Juls

 
Le invio la risposta e poi rimetto il cellulare in tasca. Butto la testa indietro e mi giro a guardare a destra e poi a sinistra. Non mi va di osservare la solita sceneggiata: Ethan che ci prova e lei che ci sta. Perché lei ci sta, lei ci sta sempre con uno come lui. Avrà una calamita che rende impossibile al genere femminile rifiutarlo o giù di li.

Sono anni che ci conosciamo e non ho ancora visto una sola ragazza mandarlo a quel paese e dirgli che lei non era assolutamente il suo tipo. Tranne ieri sera ma basta guardarli parlare adesso per capire che pure lei…

Ma Juliet non dovevi non guardarli?

Fissa l’albero, ecco brava.

A pugnalarti il cuore ci pensa già il tuo amico, non serve che lo fai pure da sola.

- Ehi.

Ero così presa dai miei pensieri che non l’ho nemmeno sentito avvicinare. e il modo in cui mi saluta quasi svogliato, quasi sappia già cosa voglio dirgli e non è contento mi fa arrabbiare.

Forse un destino esiste.

Esisteva quando è morto il suo migliore amico, Stefano.

Esisteva quando mio fratello e la sua fidanzata si sono rincontrati per sbaglio.

Esisteva quando Ethan si è alzato dalla panchina e se n’è andato a parlare con un’altra.

Magari era tutto già deciso e io non posso farci nulla, doveva andare così. Doveva finire così e stop.

- Che dovevi dirmi?- continua non avendo nessuna risposta da me.

Alzo gli occhi e incrocio i suoi, se è questo che vuoi…

- Sono stanca, ecco tutto.

Mi alzo e faccio per andarmene quando lui mi ferma con una mano.

- Che vuol dire sono stanca?

- Lasciami.

Strattono il braccio ma lui non mi molla.

- No, adesso mi spieghi. Non sono il tuo dannatissimo ragazzo al quale puoi dire è finita e tanti saluti, siamo amici. Non puoi prendere e andartene.

- Non posso?! Non posso?! Dimmi Ethan, da quando io e te usiamo due pesi e due misure? Da quando io non posso e tu invece puoi fare tutto quello che ti capita a tiro? Sono stanca di tutta questa situazione. Sono stanca di te che arrivi a casa mia di notte e dormi da me perché hai tuo fratello a casa e ti vergogni. Sono stanca di litigare con i miei per te. E sono stanca dei tuoi stupidi baci che non significano nulla!

Ethan resta fermo e non dice nulla. Si limita a lasciarmi il braccio e a guardarmi con occhi sbarrati. È la prima volta che litighiamo.

- Che c’è adesso non dici nulla?! Sai non mi aspettavo delle scuse ma forse le voglio. Già, voglio che tu ti scusi per essere questo schifo d’amico, perché fra me e te funziona così: io ci sono e tu combini casini.

Riprendo fiato e abbasso lo sguardo.

- Non voglio più vederti Eth, voglio che mi stai lontano.

Il mio cervello ci mette qualche secondo ad elaborare ciò che ho detto e nel petto mi si incrina qualcosa. Non si rompe il cuore come raccontano le favole. Ci si impianta un pezzo di ferro  che fa male ogni volta che ti muovi, che brucia in continuazione, che manda segnali per farti tenere bene in mente il passato. Quel passato che vorresti dimenticare con tutto il cuore.

Ma va bene così, doveva andare così. Il tempo aiuta dicono. Il tempo ricuce le ferite. Il tempo farà passare pure a me questa cotta.

E non so se mi faccia più paura il tempo o che passi tutto.

Guardo Ethan e gli leggo il dolore negli occhi. È giusto così, deve soffrire pure lui un po’. È giusto così, con me che corro dalla mia migliore pronta alle lacrime e lui che non dice una parola.

E lui che non mi ferma.

Corro e sento i polmoni scoppiare. Corro e non sono sicura che sia la strada giusta e le lacrime mi offuscano la vista ma continuo a correre.

Corro perché spero di non riuscire più a pensare. Corro perché mi hanno appena spezzato il cuore o forse ho fatto tutto da sola.

Busso come una pazza alla porta della mia amica che mi apre con gli occhi socchiusi, probabilmente perché era distesa a dormire o magari solo per l’influenza.

La abbraccio forte e lei mi stringe e dice le solite cavolate che si dicono sempre in queste occasioni. Andrà tutto bene, non è niente, vedrai che passa.

Quando finalmente mi sono calmata un po’ ci sediamo sul divano a guardare la tv. Niente pop corn e risate oggi. Niente di niente, solo gli occhi fissi sullo schermo.

- Juliet devo dirti una cosa- sussurra dopo circa mezz’ora la mia amica.

La guardo incapace di sorridere e aspetto.

- Mi sono innamorata.

E lei sorride e mi sento gelosa.

Lei si è innamorata.

Io invece sono appena morta, ed è solo l’inizio.

domenica 15 marzo 2015

Pensavo di salvarti #13


Juliet

Mia madre mi scuote e mi continua a ripetere che è ora di alzarsi. Avrò dormito un’ora mamma, non farmi questo.

La spingo via con le mani sussurrando “ancora cinque minuti”. Lo sappiamo sia io che lei che non sono mai solo cinque minuti ma mi lascia stare. Va in cucina a preparare la colazione e quando sento il profumo del caffè sono finalmente pronta ad alzarmi.

Faccio i primi passi con calma stropicciandomi gli occhi ma poi mi cade lo sguardo sull’orologio e inizio a correre verso la cucina. Afferro una brioche e la inghiotto senza degnare d’attenzione mia madre che ha messo le mani sui fianchi e mi guarda storta.

- Sc..scusa.

Boccheggio mangiando e lei alza gli occhi al cielo e mi versa il caffè.

Lo bevo bruciandomi la lingua e poi salgo in camera facendo due scalini per volta. Sono in ritardo. Perché sono sempre in ritardo?

Parlo sul serio. C’è una qualche legge fisica che mi fa sempre arrivare in ritardo?

Mi vesto senza pensare a cosa sto indossando e quando mi guardo allo specchio mi accorgo di essermi messa la maglietta rovescia. La giro subito e mi passo le mani fra i capelli per pettinarli un po’. Perfetto.

Afferro lo zaino nero che mi hanno regalato i miei per il mio decimo compleanno e ci rovescio dentro tutti i libri che dovrebbero servirmi per la giornata. Come al solito non si chiude e allora devo tirare fuori tutti i libri e infilarli dentro con ordine.

Corro giù per le scale e mi trovo davanti mio fratello in pigiama.

- Sei in ritardo o sbaglio?

Non c’è accusa nella sua voce, solo una semplice curiosità.

- Già.

- Vuoi un passaggio?

Sto per ringraziarlo e dirgli di si, quando scorgo dalla finestra un’auto parcheggiata sul nostro vialetto. Un’auto inconfondibile.

Mio fratello segue il mio sguardo e capisce.

- Andate a scuola vero?

- No, andiamo in un locale vietato ai minorenni ma non preoccuparti Ethan ha i documenti falsi.

Gli do un bacio sulla guancia e mi affretto verso l’uscita.

Sto aprendo la porta quando la voce di mio fratello mi fa fermare e fare un sorriso.

- Scherzavi vero?!

- Si, Eric. Non preoccuparti per me.

- Come se potessi non farlo sorellina.

Sorellina. Non sono una bambina Eric. Sapessi tutte le cavolate che faccio. Anzi, meglio che tu non lo sappia, probabilmente saresti deluso da me. O forse no, forse saresti disgustato.

Ethan è seduto in macchina con lo sguardo fisso fuori dal finestrino e lo so già senza il bisogno di guardarlo negli occhi che qualcosa non va’. Lo so già che oggi è una di quelle giornate in cui lui vuole stare solo e solo soltanto. Ma a me hanno insegnato che quando si soffre si sta meglio in due, non per buttarsi giù con l’altro e fargli vedere che non è l’unico a soffrire ma per tirarlo su di peso e fargli capire che la vita può sempre sorridere.

La mattina tutti si alzano perché la sera nessuno riesce ad addormentarsi soddisfatto totalmente di sé. La sera c’è sempre qualcosa che ci tiene svegli due minuti, un pensiero, una parola, una canzone e in un lampo sappiamo che domani dovremmo trovare del tempo per quella nuova idea.

Busso piano al finestrino prima di aprire la portiera e sedermi. Lui si volta sobbalzando e noto i suoi occhi arrossati.

È andato a trovare Stefano.

Solo lui riesce a farlo star così male e così bene allo stesso tempo. I suoi occhi tornano in vita quando è con il suo amico, arrossati e bagnati ma vivi.

Lo abbraccio di slancio, senza dargli il tempo di tirarsi indietro e lui appoggia dolcemente la sua fronte sulla mia spalla e si stringe a me prendendosi un po’ della mia forza.

Te la cedo anche tutta amore. Puoi prenderti tutto di me, promesso.

Ma oggi ho deciso che ti dirò tutto. Oggi sarò sincera. Non posso continuare a nascondere il cuore e i suoi battiti e andrà come deve andare.

Al destino non ci credo, credo nel momento, nell’attimo.

Come quando i professori a fine anno fanno le medie e dicono “deciderà il consiglio” e io vorrei rispondere loro che il consiglio non c’è mai in classe durante le sue lezioni. Vorrei ricordargli che qualche giorno prima mi aveva messo un bel più sul registro e che alla fine del primo quadrimestre aveva buttato via mezzo voto perché è il primo quadrimestre e allora si va verso il basso.

Ecco nella vita c’è il qui e adesso. E forse è ingiusto o forse è giusto. Non lo so e non lo voglio sapere, oggi non voglio sapere nulla. Oggi voglio solo domandare.

 - Dobbiamo parlare.

E lo sanno tutti che quando si è in due e vengono fuori quelle due parole si tratta dell’amore o del tradimento. È la fine o l’inizio.

Lo sono anche per noi. La fine o l’inizio. Sta a te decidere Ethan.

- Oggi no, non ce la faccio Juls.

- Ce la fai Ethan. Ho bisogno io di te per una volta.

Lui si gira dall’altra parte e sbuffa.

- Non credi di dovermi almeno due minuti del tuo tempo?

- Si – e lo ammette, non lo valuta.

- Andiamo da qualche parte dove possiamo stare soli.

Ethan non dice nulla, non fa una smorfia, infila la chiave e inizia a guidare. Guardo fuori dal finestrino e penso che sì, la mia città è bella. Piccola e chiusa. Stupida e irrazionale. Scontrosa e dolce.

Le colline, la montagna e il mare. C’è tutto qui, ed è una mezza bugia ma fa lo stesso.

C’è Ethan, c’è tutto qui. C’è la mia famiglia, mio fratello, spesso ma non sempre. Ecco, ora sono più sincera.

Parcheggia davanti al parco e penso che sia giusto in fondo che ci ritroviamo a parlare di noi proprio dove ci siamo conosciuti la prima volta.

Andrà come deve andare ma io ho paura e allora cammino veloce e poi mi siedo sulla prima panchina e lui mi chiede di camminare un altro po’ ma io non ce la faccio. Io devo dirglielo subito prima che mi dimentichi di me e pensi a far contento lui.

Ethan si siede vicino a me e io, dopo un respiro profondo, inizio a parlare.

- Ethan, io credo.. ecco, io…

Mi porto le ginocchia al petto e distolgo il suo sguardo, guardo davanti a me e rivedo noi da bambini sull’altalena. Rivedo lui che mi spingeva più forte e mi prometteva che se mai fossi caduta ci sarebbe stato.

Ci sarai anche questa volta?

- Io ti…

Ma le parole mi si bloccano in gola quando vedo Ethan girato verso una coppia non troppo distante da noi. Guardo bene in quella direzione e con sorpresa noto che la ragazza è la stessa con cui aveva parlato ieri sera, la mora mozzafiato.

Vedo il ragazzo che la strattona per un braccio e non riesco a sentire ciò che lei dice ma sono sicura che non sia nulla di carino.

Ethan si alza di slancio senza guardarmi, senza uno “scusa”. Non c’è nessun torno subito nei suoi gesti. E lo so che lui, da me, non tornerà più.

giovedì 5 febbraio 2015

Pensavo di salvarti #12


Ethan

Dovrei imparare a stare lontano da questo posto, per il mio bene. Ma non ci riesco. Non riesco a starti lontano Stefano. E dicono tutti che un giorno questo vuoto enorme se ne andrà ma non credo. Dicono tutti che un giorno sarò contento dei momenti passati insieme e li conserverò nel cuore senza farmi ferire ma non credo nemmeno a questo. E’ troppo presto perché i ricordi non portino con sé cicatrici. Stefano mi manchi così tanto.

Non trovo altre parole. Mi è difficile parlare di te con altri, mi è difficile parlare di te perfino con me stesso. Fai ancora male. Non te ne voglio fare una colpa. Che ti voglio bene te l'ho ripetuto mille volte e so che tu ne sei consapevole.

Mi manchi Ste. Mi manca il mio amico cazzone che ride come un deficiente ad ogni cosa che dico.

Mi manca il rumore del tuo skate quando faccio la strada per tornare a casa.

Mi manca avere una spalla, sempre e comunque.

Mi manca vederti alla finestra a urlarmi contro di smetterla di fumare e scendere a fare un giro con te.

Mi manca qualcuno che mi dica che ciò che sto facendo è sbagliato. Sbagliato e allora bisogna farlo in due.

Mi manca qualcuno con cui fare a botte per niente.

Mi mancano i tuoi vestiti sparsi per casa.

La tua spensieratezza, i tuoi consigli, le tue abitudini, le tue fissazioni, le scommesse, gli abbracci, i cappelli stupidi da sborone, la risata con lo schiocco, il piercing al labbro che scintilla, le tue mani che non stanno mai ferme e iniziano a tremare quando una ragazza si volta verso di te, le tue maniere da stronzo superficiale ogni volta che ti ferisco.

Mi manchi nel tuo insieme, credo.

E sai ci sto provando. Sto provando a cercarti in qualcun'altro ma non riesco a trovarti ed ogni giorno tu sei più distante. Più irraggiungibile.

Ste, io non lo so come fare senza di te. Mi sembra che una parte di me sia morta per sempre. Mi sembra che sia in quella tomba con il tuo corpo.

Siamo sempre stati fratelli ed ora che fai? Mi lasci solo?

Non è colpa tua. Non è colpa mia. Non è colpa di nessuno.

Ma se riuscissi a trovarci un senso forse faresti meno male. O forse no. Forse non cambierebbe nulla.

Tu comunque non ci saresti.

Stai con me Ste, come ai vecchi tempi. Buttiamoci sul divano prendendoci a pugni e poi beviamo birra e mangiamo patatine fino alle quattro in mutande. Facciamo come ai vecchi tempi dove in sette minuti arrivavo sotto casa tua. Facciamo come ai vecchi tempi dove tu c'eri, sempre.

Le lacrime iniziano a scendere senza che io possa fermarle e allora le lascio andare. Con il tempo ho scoperto che se provo a tenermele dentro iniziano a bruciare e non riesco più a smettere di singhiozzare come un bambino. Le lascio cadere sulle guance e poi sulla maglia senza pensare nemmeno a fermarle. Siamo solo io e te amico, con te non ho paura di mostrarmi per chi sono davvero.

Mi alzo piano, pulendomi i jeans e respirando forte. Sono in apnea da parecchio. Sono in apnea ogni volta che vengo qui. Mi chiedo se sia davvero possibile che perfino i meccanismi più involontari e semplici perdano il senso del tempo quando sono con te o se sono solo io che non li noto più perché vengo risucchiato dal nostro amore.

È amore il nostro Stefano. Al mondo ce ne sono tante sfumature, il nostro è verde chiaro. Il nostro è nero, come la tua presenza e il tatuaggio che ho al fianco. Il tatuaggio con il tuo nome e la nostra frase.

L’ho fatto il giorno in cui te ne sei andato. Ha fatto un male cane ma sono contento.

Mi porto sulla pelle un pezzo di noi, non che corra il rischio di dimenticarmi di te Ste, ma mi sento più completo. Non completo, solo più completo.

Senza di te, non sarò mai completo.

domenica 18 gennaio 2015

Pensavo di salvarti #11



Juliet
-Juliet che cosa ci fai qui?
Mio fratello accende la luce della cucina e mi vede seduta a terra in lacrime. Se potessi guardarmi alo specchio ora potrei spaventarmi.
I capelli tutti in disordine, le lacrime che hanno portato la matita in giro per tutto il viso, i pantaloncini e la maglietta bagnati. Sono rannicchiata a terra e non riesco più ad alzarmi.
Mio fratello, Eric, si avvicina e mi scuote per le spalle. Non vedendo nessuna mia reazione si siede a terra con me e mi abbraccia.
- Hai fatto tu tutto quel baccano scricciolo?
Sorrido al suo buffo appellativo. Quando ero piccola odiavo che mi chiamasse così, ora invece mi piace da morire. Mi fa tornare a giornate calde d’estate. A quando giocavamo insieme prima che lui si arruolasse nell’esercito e passasse anni interi lontano da casa. Avevo paura che cambiasse facendo ciò che fa, che si dimenticasse di me e invece ogni volta che può viene a trovarmi. È il fratello migliore del mondo, uno di quelli che sono premurosi e allo stesso tempo protettivi. Uno di quelli che ti tirano fuori dai casini senza fare la spia ma sgridandoti alla grande prima di soffocarti con un abbraccio.
- Si, scusami.
Mi stringo forte a lui e chiudo gli occhi, cercando di fermare le lacrime.
- Eric, tu come fai ad essere sicuro d’amare Jennifer?
Jennifer è la sua ragazza da più di tre anni e nonostante la distanza la loro è una storia da film. Si sono conosciuti fra i banchi di scuola e so che lei aveva una cotta per mio fratello ma lui non la degnava di un’occhiata e poi un giorno, dopo la maturità, si sono ritrovati ad una festa e mio fratello non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Lui dice che è stato un’idiota a sprecare tutti quegli anni ma che forse è stato meglio così. Secondo lui, le persone si incontrano quando è il momento giusto. Arriverà mai un nostro momento Ethan?
- Che vuol dire come fai a sapere di amarla?- Eric mi guarda bonario e sorride – Juliet, te le senti dentro certe cose.
- Ma come fai ad esserne sicuro? Come puoi essere certo che l’amerai anche domani o è solo una cosa passeggera?
- L’amore è passeggero, Juls. L’amore può finire così come è iniziato ma non possiamo permetterci di pensare al domani. Bisogna ascoltare il cuore. Ed è una frase fatta e rifatta ma è vera. L’amore te lo senti dentro, senza alcuna ragione. Quando ti innamori non stai nemmeno a chiederti se è amore o meno. Lo sai.
- Credo di essere innamorata di Ethan.
Lo sussurro piano a lui che è la mia roccia, la mia forza, la mia metà. Lo sussurro piano a me stessa per paura che crollino le pareti.
- E’ una persona che ne ha passate tante, lo sai meglio di me. Prima il padre, poi Stefano. Ma Juls, se lo ami, se lo ami davvero glielo devi dire. Non è giusto per nessuno dei due fingere che non ci sia niente fra voi. Vi volete bene, è evidente a tutti, basta vedervi insieme, ma se i tuoi sentimenti sono cambiati dovete parlare.
- C’ho provato.- tentenno, indecisa se dire tutta la verità o tenermi dentro parte della storia – Ero con lui un minuto fa. Lui con me, non vuole parlare.
- E tu sorprendilo. Fagli capire che lo ami senza dover parlare.
Scuoto la testa decisa.
- E se lo perdessi?
- Certe persone non si perdono mai, Juliet. Mai.
Mi accarezza piano il braccio e sussulto. Eric allora, allarmato, mi guarda il braccio e vede il sangue.
- Ti ha messo le mani addosso?!- esclama furioso.
Gli faccio cenno di abbassare la voce, non voglio svegliare mamma e papà.
- Ma ti pare?! Credi che ne sarebbe capace?
Mi guarda negli occhi e leggo la risposta da me. Crede che potrebbe farmi del male.
- Vieni, andiamo a disinfettare questo taglio.
Mi prende per mano e prima che possa dire qualcosa mi aiuta ad alzarmi e mi trascina in bagno.
Mentre mi passa dolcemente un batuffolo di cotone sulla ferita non riesco a cancellarmi dalla mente l’immagine di Ethan in lacrime mentre mi racconta che Ste è morto.
-E ora cos’hai intenzione di fare?
-Continuerò a cercarlo.
-Eth lui è..
-Impossibile, gli angeli non muoiono.
Gli angeli non muoiono, avevi ragione Ethan, finchè continui a volergli bene, Stefano vivrà con te.
Il bruciore del braccio mi riscuote dai miei pensieri e vedo mio fratello mettermi un cerotto, tutto concentrato.
Rido mentre noto che è completamente impacciato.
Certe persone non puoi perderle.
Certe persone te le porti dentro, anche contro la tua volontà. Sei una di quelle Ethan.
Ha ragione Eric: basta giocare, siamo cresciuti ed è arrivato il momento di parlare di noi.
Mi butto sul divano mentre mio fratello armeggia in cucina per preparasi del latte. Ho ancora un paio d’ore per poter dormire ma ho la testa e il cuore in subbuglio e dubito che ci riuscirei. Faccio fatica a dormire ultimamente. Fra lo studio e le uscite con Ethan non mi resta il tempo per molto. Ho imparato a sentirmi riposata con quattro ore di sonno, assurdo vero?
Mio fratello, dice che a volte, quando fanno addestramento non dorme anche per due giorni di fila. Penso che io non sarei mai capace di farlo e non solo perché sono una donna. Lui è sempre stata una persona decisa, ha deciso che salverà il mondo e così sta facendo. Forse salvare il mondo è una parola grossa, soprattutto detta da una che non crede che la guerra possa portare a qualcosa ma lui, con il suo lavoro salva tanti innocenti. Io non riesco nemmeno a salvare il sorriso del mio migliore amico.
Sospiro e mi rigiro fra le coperte.
 Devo dormire. Devo almeno provarci. Chiudo gli occhi ma niente da fare, il sonno non arriva. Allora inizio a contare, ma nemmeno le pecore arriveranno a salvarmi questa sera, beh mattina ormai.
Mio fratello si siede sul divano con la tazza e mi guarda dolcemente.
- Non riesci a dormire tornado?
- No. Per niente.
Resta in silenzio, forse spera che finalmente chiuda gli occhi e dorma ora che c’è lui. Dopotutto quando eravamo bambini funzionava così. Quando avevo gli incubi correvo in camera sua e lo svegliavo. Mi ricordo che mi portavo via anche i miei peluche perché avevo paura che qualcuno rapisse uno di loro. Arrivavo in camera di Eric tutta agitata e lui si limitava a farmi spazio accanto a sé e a guardarmi finchè non mi fossi addormentata.
Non si è lamentato mai, mai una volta mi ha cacciata dicendo di crescere. Mai una volta mi ha riso in faccia dicendomi che i mostri non esistono. Si spostava di lato e mi aiutava a coprirmi e tutto andava bene.
Lo guardo attentamente e noto quanto sia cresciuto. I capelli biondi sono più lunghi del solito e gli cadono dolcemente da tutte le parti. La bocca e il naso piccoli ma perfettamente in proporzione con il suo viso. Le cicatrici vicino il mento, sulla destra, che invece di sfigurarlo lo rendono terribilmente sexy. Mio fratello doveva diventare un modello, non un soldato. Ma sono gli occhi che mi preoccupano maggiormente. Gli occhi marroni, no marrone è troppo banale. Ha gli occhi che sembrano due fuochi. E una volta non erano così. Una volta non aveva visto tutto ciò che gli passa davanti tutti i giorni, una volta riusciva a seguire un telegiornale senza emettere sospiri ansiosi pensando ai suoi amici in giro per il mondo.
- Sai cosa faccio per riuscire ad addormentarmi quando sono preoccupato?
La sua voce mi fa sussultare, ero così persa nei miei pensieri che mi ritrovo scombussolata a sentirlo parlare.
- Cosa fai? Corri in camera di tuo fratello con tutti i peluche?
Sorride a quei bei ricordi e scuote la testa, felice.
- Penso a te.
- A me?
- Si, a te e a volte a Jennifer. Ma pensare a lei lontana mi fa stare anche tanto male perché è da sola, tu invece so che sei sempre con i tuoi amici e non sei triste.
Una fitta acuta di gelosia mi tocca il cuore ma la scaccio, mio fratello non si merita la mia gelosia. Non sarebbe giusto dopo ciò che ha sempre fatto per me.
- Perché pensare a me ti fa addormentare? Non pensavo di essere così noiosa, cavolo Eric avresti dovuto dirmelo.
Eric ride piano, muovendo appena le labbra e chiude un po’ gli occhi per non rischiare di ridere troppo forte e svegliare mamma e papà.
- Non sei noiosa sciocca, solo…- muove la testa verso destra e poi verso sinistra, cercando le parole- mi fa sentire a casa pensare a te, e se sono a casa posso dormire tranquillo non trovi?
- si, hai ragione.
Sorrido della sua buffa logica e mi metto a pancia in giù, pensando intensamente a lui ma non succede nulla. Non riesco ancora a dormire.
Eric si alza, attento a non rovesciare il tè e poi mentre credo che stia per tornarsene in camera senza nemmeno salutarmi si gira verso di me e mi manda un bacio. Un attimo dopo le sue parole mi colpiscono come una fucilata.
- Ognuno ha la sua casa, Juls. Non puoi rinchiudere il cuore.
Cosa stai cercando di dirmi Eric?
Chiudo gli occhi e penso a Ethan, al suo sorriso, alle sue strane abitudini, ai suoi abbracci e senza accorgermene sto sognando.

mercoledì 7 gennaio 2015

Pensavo di salvarti #10



Ethan
Sbatto la portiera dell’auto e inizio a tirare calci alla gomma. Ma perché la vita dev’essere così dura? Cazzo, Ste, dove sei finito tu? Senza di te non ce la faccio. Non ce la faccio, capito?
Entro in casa veloce. Mollando le chiavi dove capitano, che finiscono sul tavolo e fanno rumore. Sento qualcosa muoversi sul divano e mi avvicino piano e incerto. Credevo che stasera non ci sarebbe stata mia madre.
Samuel si rigira fra le coperte e si stropiccia i suoi piccoli occhi prima di sbadigliare il mio nome.
- Sam, ma sei solo?
Samuel annuisce ancora addormentato. Credevo che questa sera sarebbe andato al lavoro con mia madre, non ho pensato nemmeno per un secondo che fosse solo altrimenti non sarei uscito.
Gli accarezzo dolcemente i ciuffi neri dei capelli che gli ricadono sul viso. E’ così bello. Ha le fossette tipiche dei bambini e dei dentini piccoli che quando sorride si vedono appena. Le guanciotte rosse perennemente e due occhi azzurri che secondo me sono il colore del paradiso. Credo che mio fratello sia una delle poche cose belle nella mia vita.
Sam mi si accoccola vicino e si rimette a dormire. Lo prendo in braccio tenendolo al caldo sotto la coperta e salgo le scale con calma, attento a non svegliarlo ancora.
Il mio angelo.
Vado verso la sua camera ma prima di entrare cambio idea e mi dirigo verso la camera di mia madre. Alzo le coperte, sempre con Samuel in braccio, e lo metto delicatamente nel lettone.
Lui sospira contento e quel suono è meglio di tutti i grazie del mondo.
Vado in camera mia, mi levo i vestiti in fretta e faccio una doccia il più velocemente possibile. Ora che sono solo le immagini del sangue tornano a tormentarmi. Possibile che non riesca a vedere una goccia di sangue senza sentire i conati di vomito?
Spengo l’acqua e mi appoggio alla doccia, restando immobile ad ascoltare le goccioline che scendono dal mio corpo lentamente.
Sono stanco. Stanco di pensare, stanco di agire, stanco di tutto.
Indosso un paio di boxer e raggiungo mio fratello in camera di mia madre. Mi sistemo sotto le coperte e lui, sentendomi vicino, si appoggia al mio petto e mi stringe con la manina. Chiudo gli occhi e per la prima volta dopo tanto tempo, non ho incubi.
Mia madre ci trova abbracciati sul suo letto quando ritorna e sono sicuro di aver sentito le sue labbra posarsi sulla mia fronte.
Alle sette e un quarto la sveglia si mette fastidiosamente a suonare e mi ci vogliono parecchie manate al comodino per capire che non sono nella mia stanza e che la mia sveglia è al di là del corridoio. Ma quando ho preso un respiro e sono pronto ad alzarmi la sveglia smette di suonare. Mi alzo e vado verso camera mia scoprendoci dentro mia madre intenta ad osservare la sveglia.
- Te l’ha regalata Juliet questa vero?
Mi sorride, mia madre mi sta sorridendo.
- Si, qualche anno fa. E’.. beh è praticamente rotta. Suona quando vuole ma non voglio ancora buttarla.
Continua a sorridermi e io arrossisco in imbarazzo. Non so cosa dire, è parecchio che non parliamo o anche semplicemente che ci proviamo.
Poi noto il segno delle occhiaie sul suo viso e mi rendo conto che lei deve essere stanca dopo aver passato tutta la notte in ambulatorio. È un bravo medico, una brava madre, ma da quanto ho visto fino ad ora non riesce ad essere entrambe.
Se scegli di fare della tua vita il tuo lavoro, non importa per quale motivo, non dovresti avere figli.
Ho sempre pensato che sia meglio una creatura al mondo in meno che una creatura infelice in più. Eppure, eppure sono contento che dopo l’errore, cioè io, mi abbia regalato Samuel.
- Mamma, vai a riposarti, devi essere distrutta.
- Non è niente Ethan. So che magari hai da fare le tue cose ma visto che oggi sono a casa pensavo che magari potevamo..
- Non devi parlare con me, mamma. Stai con Samuel, lui ha bisogno di te, non io.
Mamma, sono un bugiardo. Lo vorrei anch’io un tuo abbraccio ma non riesco a perdonarti. Non riesco a perdonarti le tue continue assenze, le tue scuse, le tue promesse infrante.
Non mi hai mai portato alle giostre, non sei mai andata a parlare con i miei insegnanti se non quando ti chiamavano, non hai mai.. non hai mai messo me davanti a tutto.
- Ethan, per favore…
Gli occhi le si riempiono di lacrime e il labbro le trema un po’. Le nasce una piccola rughetta intorno all’occhi sinistro e abbassa lo sguardo quando la sua voce si spegne da sola.
Impacciato, mi avvicino e la abbraccio. Mi fa strano, mi fa sentire in pace e allo stesso tempo all’inferno, sento un fuoco dentro. Non ho idea di come si fa ad abbracciare una madre ma penso che se la tengo stretta tanto basta. Le sue mani si aggrappano a me e credo che se potesse non mi lascerebbe più andare. Ma è solo un momento, poi ritorna l’Ethan freddo e distaccato, poi ritorna l’Ethan razionale. Mi stacco da lei, dolce ma deciso e in un soffio le dico:
- Porta al parco Samuel.
Esco dalla camera, prendo i pantaloni e la maglia che avevo lasciato in camera di Samuel qualche giorno prima e li infilo veloce. Scendo le scale due a due, cerco fra le cavolate in frigo un po’ di latte e lo bevo direttamente dalla bottiglia. Afferro le chiavi dalla tavola e me ne vado.
Vado a fare un giro, in nessun posto preciso. Ma quando mi volto e vedo la casa gialla in fondo alla via spiccare fra tutte le altre, decido che l’unico posto dove voglio stare è con te, Ste.
Entro in macchina e guido senza prestare troppa attenzione al limite di velocità, nella vita ci sono tante cose che uccidono. Nella vita se si rispettano i limiti si morirà con rimpianti.
Parcheggio all’ombra e scavalco il cancello in ferro chiuso, un attimo dopo mi ritrovo davanti a te.
- Ciao, Stefano.
Tocco la tua foto attaccata alla lapide e sorrido, pronto ad una bella chiacchierata.
Ogni tanto degnati di rispondermi amico.

domenica 28 dicembre 2014

Pensavo di salvarti #9



Juliet
Non guardarlo, non guardarlo. Non farti inutilmente male. Sposto lo sguardo alla ricerca di una qualunque distrazione e la trovo in Eddie. E’ al bar con un ragazzo, stanno bevendo ma vedo bene che si stanno scambiato soldi e posso immaginare cosa voglia in cambio Eddie. Droga. Lo penso sprezzante ma la solita curiosità mi invade. Fino a qualche tempo fa Ethan la prendeva come niente ma adesso sembra essersi dato una calmata.
Alcol a tutto spiano ma niente droga.
Sono concentrata su quello che i ragazzi si stanno dicendo, cerco di capire le parole dal movimento delle loro labbra ma non riesco.
Quando qualcuno mi tocca la spalla sussulto involontariamente.
Ethan mi guarda da in piedi incuriosito. Si siede vicino a me e mi chiede cosa stessi osservando così attentamente.
Alzo le spalle e mi lego i capelli con l’elastico che porto sempre al polso.
E’ di Ethan, non me ne separo mai. Quando non ce l’ho è come se una parte di me fosse da un’altra parte. Come se la metà di me destinata a lui fosse con lui.
- Ti piace Eddie?
Che te ne importa Ethan?
Perché me lo chiedi?
Io ti ho mai chiesto cosa provi tu per tutte quelle ragazze che guardi?
Ti ho mai chiesto spiegazioni?
Ti ho mai chiesto: ma tu all’amore ci credi?
- Se anche fosse non sarebbero affari tuoi.
- Si, invece. Per me sei come una sorellina, non posso starmene fermo a guardare se uno come quello ci prova con te e tu ci stai pure!
È indignato. Lui? Lui non ne ha nessun diritto. Ce l’ho io, io che lo perdono sempre. Io che fingo di non sapere che tutti i suoi baci sono bugie, io che non gli chiedo mai niente, io che non gli ho mai sentito chiedere scusa.
Non rispondo nemmeno alla sua provocazione e mi guardo i piedi, incapace di incontrare i suoi occhi. Mi fanno fare follie. Mi fanno annegare e non uscire più.
Eddie si alza, beve l’ultimo goccio e viene a sedersi vicino a noi. Ethan non dice nulla mentre lo vede preparare la cartina, guarda semplicemente intorno sperando di non essere visto.
Se finisce nei casini sua madre fa un infarto.
Eddie arrotola il tutto e se lo porta alle labbra, tira fuori l’accendino e quando sta per avvicinarlo alla sigaretta mi faccio coraggio, prendo una boccata d’aria e parlo.
- Me la fai provare?
Ethan si gira di scatto verso di noi. Non dice nulla, si limita a fissarmi incredulo e spaventato.
Eddie fa lo stesso, lancia un’occhiata al mio amico e poi mi passa la sigaretta.
- Le prime volte gira un po’ la testa quindi vacci pian..
- Non ci pensare nemmeno di darle quella merda!
Ethan gliela strappa dalle mani e la butta per terra per poi calpestarla.
- Ehi, amico, costa quella roba!
- Te la ripago, ora sparisci. E tu- mi indica con un dito, quasi fossi un bambina avessi parlato con uno sconosciuto accettando caramelle – non farlo mai più, sono chiaro?!
Sento le lacrime salire agli occhi e mi alzo, faccio per andarmene ma lui mi prende per il gomito. Mi libero con uno strattone e senza il minimo ritegno gli urlo dietro:
- Non provarci più, non toccarmi. Tu non sei mio padre, non puoi dirmi cosa posso o non posso fare! Stai fuori dalla mia vita dannazione.
Lascio il pub senza guardarmi indietro e l’ultimo pensiero che ho prima di iniziare a camminare a passo spedito è quanto ci metterò a tornare a casa a piedi, e soprattutto spero che lui non sia già lì quando arriverò.

Entro in camera senza curarmi di accendere la luce e inizio a spogliarmi, ma quando resto in mutande e reggiseno sento una voce provenire dalla finestra.
- Non che lo spettacolo mi dispiaccia ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere sapere che hai uno spettatore.
La voce di Ethan mi fa sussultare di paura ma appena elaboro le sue parole apro l’anta dell’armadio e mi ci nascondo dietro.
- Potevi aspettare un altro po’ a dirmelo.
Sento dei rumori e sono certa che Eth stia entrando in camera, incurante della mia posizione.
- Sai, c’è buio qua dentro, che ne dici se accendo la luce?
Sento dal suo tono di voce che sta scherzando ma il mio cuore inizia a battere forte e la voce si incrina.
- Per favore no.
Lo sento ridere e mi chiedo cosa ci sia da ridere in una situazione del genere. Mi chiedo se davvero possa essere così infantile e accendere la luce.
- Non lo farei mai Juliet, sarò pure un cretino a volte ma non esagererei mai in questo modo. Mi siedo sul tuo letto, cambiati. Giuro che non guardo.
Non del tutto rassicurata prendo una canottiera e i pantaloni del pigiama e me li infilo velocemente.
Chiudo l’armadio sbattendolo e non vedo lo specchio spaccarsi e cadere finchè non sento bruciore al braccio. Una piccola scheggia si è conficcata lì e il sangue inizia ad uscire. Incrocio subito lo sguardo di Ethan sperando che non si sia accorto di nulla ma appena lo specchio cade rovinosamente a terra si gira a guardarmi.
Si gira a guardarmi e vede il sangue sul mio braccio. Si gira a guardarmi e gli leggo la paura negli occhi.
Prendo una sciarpa dall’armadio, la lego attorno al braccio e mi avvicino piano a lui. Mi avvicino piano per non spaventarlo, mi avvicino quasi fosse un animale pronto a scattare, mettendo davanti a me le braccia.
- Ethan, va tutto bene. Eth, guardami.
La mia mano è fra i suoi capelli, le dita danzano e cercano di calmarlo.
- Ci sono io, sono qui con te. Va tutto bene. Sto bene.
Scandisco piano le parole quasi fosse un bambino. Lo so, lo so cosa ti ricorda il sangue. So cosa ti succede. So che fantasma sbuca fuori dai tuoi ricordi ma ci sono io amore mio. Ci sono io qui con te. Non puoi avere paura.
Non serve.
Non più.

***

Ridiamo. Ridiamo e scherziamo seduti fuori in una panchina del parco. Ethan non la smette di farmi il solletico e il suo amico Stefano ci guarda silenzioso. Oggi è strano. Qualcosa non va. So che non si aspettava di vederci arrivare insieme. So che voleva parlare con Eth e basta ma ho litigato di nuovo con i miei e proprio non ce l’ho fatta a starmene a casa da sola.
Improvvisamente Ethan si blocca e la mia mente accavalla i ricordi, i momenti, i sorrisi. La mia mente accavalla tutto mentre vedo Stefano portarsi la mano al naso mentre il sangue esce. Ci ripete che sta bene ma Eth gli dice di restare seduto, gli chiede se ha preso qualcosa, se gli fa male la testa.
- Passa subito Eth, non preoccuparti.
Passa subito, non preoccuparti.
Passa subito, non preoccuparti.
Le parole rimbombano mentre Stefano cade a terra con noi due li, incapaci di fare qualcosa.
Sangue. C’è il sangue per terra e vedo Eth urlare, la gente avvicinarsi e chiamare aiuto.
Io resto ferma, immobile.
Inutile.
L’ambulanza arriva ma non vogliono far salire Eth e lui sembra non averne la forza. Resta a terra, inginocchiato a guardarsi le mani sporche di sangue.
Il sangue del suo migliore amico.
Finalmente riesco a riappropriarmi della mie facoltà mentali e mi siedo accanto ad Ethan. Ha lo sguardo fisso sulle mani, uno sguardo spento e incurante di ciò che lo circonda.
Credo che sia stato in questo momento che l’Ethan che conoscevo si è spezzato per sempre.

***

- Ethan, guardami. Sei qui, con me. Nella mia stanza. Ci siamo solo io e te.
Ethan respira piano e chiude gli occhi, lo abbraccio proprio come quel giorno ma questa volta lui non piange, questa volta torna ad essere il ragazzo forte e chiuso.
- Scusa.
Lo sussurra appena ed io mi immobilizzo.
Come puoi dirmelo così? Come puoi vergognarti di ogni debolezza, di ogni difetto, di ogni affetto?
- Devo andare.
Si alza e scende le scale senza voltarsi a guardarmi.
- Ethan! Eth, aspetta.
Lo seguo fuori sotto la pioggia, incurante di essere con i pantaloni del pigiama e una canottiera.
- Per favore, fermati.
Si gira e glielo leggo negli occhi. Lo so che sta per scoppiare.
Non ti permetterò di andartene via così. Non ti permetterò di farti ancora del male, di nasconderti e piangere da solo.
- Perché..?
Mi lecco le labbra bagnate e tiro fuori quel coraggio che per troppo tempo mi è mancato.
- Resta da me Eth, resta con me. Io e te. Lo so che è tutto diverso, lo so che ti manca Ste. Ma ci sono io. Ci sono io per te.
Ethan si avvicina piano tenendo lo sguardo verso il basso quasi ci fosse qualcosa di vitale nelle sue scarpe.
- Juliet, tu non puoi capire… tu non lo sai cosa vuol dire.
- No, hai ragione. Io non posso capire se tu non mi dici nulla. Ma visto che ti senti tanto forte quando sei da solo, restaci.
Rientro in casa sbattendo la porta e mi rannicchio a terra.
Piango, piango forte stringendo le braccia al corpo e tremando.
Sei tu che non capisci Eth.